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Magali

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martedì 24 settembre 2019
Ho letto questo libro
Tutto ruota intorno ad un quartiere dell’Upper West Side, vicino a Central Park a New York, ed ai suoi abitanti. Le vite di Jody, Polly, George, Simon, Everett, Doris e di altri ancora si incrociano, newyorkesi dai trent’anni in su accomunati da una profonda solitudine che, alcuni di essi, cercano di combattere con la compagnia di un cane. Questi personaggi ci mostrano una grande mela fatta di piccole cose come il pranzare al ristorante vicino casa, il parco gelato in inverno, il caldo afoso d’estate, le passeggiate con i loro cani … Beatrice un’anziana pitbull bianca che vive con Jody, una quarantenne un po’ frustrata, Howdy ritrovato abbandonato nell’appartamento proprio dalla nuova inquilina Jody, che assorbirà la sua vita e quella di suo fratello George che andrà a vivere.
La quotidianità in una metropoli, rapporti che nascono proprio grazie all’avere un compagno di vita peloso, realtà narrate dall’autrice che potrebbero appartenere ad un’altra qualsiasi altra grande città. Un libro in apparenza leggero, che trasuda solitudine, insoddisfazione, incertezza, amore, paure, ansie, gioie, piccoli entusiasmi vissuti intensamente dai personaggi che si avvicendano nella narrazione ed alla fine non puoi che affezionarsi a tutti loro, perché ti immedesimi nei frammenti della loro vita, nei loro dubbi e alla fine senti di appartenere, anche un po’ tu a New York.
Come d’abitudine vi lascio alcuni stralci:
Di recente non aveva sorriso molto. Si sentiva giù di corda, come avrebbe detto sua madre. Aveva lavorato sodo per tutta la vita e continuava a farlo, ma si annoiava. Terrorizzava i giovani chimici che lavoravano per lui e ne era lieto: guardarli chinare la testa e borbottare i risultati delle loro scoperte, le loro domande e perfino i loro nomi in preda a una tremula confusione era un modo di combattere la noia. Quando un cinquantenne è annoiato, si dice che sta attraversando la crisi della mezza età. Gliel’aveva fatto notare Leslie, la sua ragazza. “No” aveva risposto Everett. “La noia è semplicemente mancanza di immaginazione.”
E non appena le parole gli erano uscite di bocca si era reso conto che era vero, che la sua immaginazione si stava spegnendo, e oltre che annoiato si era sentito depresso.

Polly credeva che il mondo fosse pieno di promesse. Se ogni tanto si confondeva convincendosi di essere l’autrice di quelle promesse, di essersi inconsapevolmente impegnata a raddrizzare tutto ciò che andava storto intorno a lei, non dobbiamo fargliene una colpa. Era come se udisse la propria sonora voce adulta lanciare la parola d’ordine e, come una bambina, vi obbediva. Se, come una bambina, non esaminava la parola in questione, non dobbiamo dimenticare che Polly poteva spendere un’intera busta paga settimanale per una carta da lettera stampata a mano e a volte al lavoro non portava il reggiseno. Era giovane, e quando le sue decisioni le si ritorcevano contro ne era sempre sorpresa ma mai sconfitta.

Le giunchiglie erano coloratissime e fresche e brillavano al sole a migliaia, ancora bagnate dal piovasco mattutino. Le forsizie traboccavano dai muretti dei ponticelli di pietra. Il profumo di terra bagnata le faceva lacrimare gli occhi dalla gioia. La primavera era tornata! Gli alberi erano ancora spogli, ma gli uccelli erano arrivati da qualche parte, in viaggio per qualche altra destinazione, e cantavano dai rami. Polly camminava verso casa insieme ad altri uomini e donne in abiti da lavoro e scarpe da lavoro, tutti sedotti dalla primavera profumata, tutti intenti a far oscillare allegramente le loro ventiquattrore.

Aveva mancato Jody per pochi minuti. Anche a lei piaceva uscire di soppiatto prima che il caldo la scovasse: questo era il modo in cui descriveva la cosa. Gli altri proprietari di cani li salutavano, si fermavano a fare due chiacchiere, e anche se Jody nella maggior parte dei casi ignorava i loro nomi trovava che quegli incontri avessero una loro curiosa intimità

«Buongiorno!» le gridò.
Lei si guardò intorno, confusa.
Forse, al suo ritorno, Emily avrebbe parlato in italiano a quella donna. Everett non vedeva l’ora che tornasse. E quando avesse saputo cos’aveva fatto sua madre... Sua madre aveva fatto quello che nessuna madre poteva fare impunemente, e l’aveva fatto per una ragione che nessuna figlia poteva rispettare. Aveva dato via la gatta di famiglia quindicenne perché il successore, come Everett aveva scelto di chiamarlo, era allergico.

C’erano così tante bottigliette, così tanti tubetti, così tante spazzole, vasetti e astucci da toilette. Gli piacevano i profumi che fuoriuscivano dalla doccia di Jody, l’odore di fresco che associava a lei. Ma la schiera di contenitori di plastica sul bordo della vasca da bagno e quelli incastrati negli angoli gli parevano eccessivi.
Ciò malgrado, quando non era con lei sentiva la sua mancanza. Avrebbe voluto averla senza le bottigliette, senza la sua predilezione per la carne rossa che lui non mangiava, senza le sue occasionali sigarette, senza il suo bisogno di esercitarsi diverse ore al giorno con il violino, cosa che distoglieva la sua preziosa attenzione da lui. Ma anche con quegli inconvenienti la voleva, ed era ragionevolmente sicuro che l’avrebbe avuta.

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