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Lettori fissi

Magali

Magali
martedì 2 luglio 2019
Tempo fa ho letto questo libro e pensavo di averne scritto sul blog, invece no, l'età avanza e la mia memoria, una volta ferrea diventa fallace! Voglio, innanzitutto, ringraziare il club dei lettori di cui faccio parte, perchè senza di loro non scoprirei tanti tesori.
Juliet Ashton è una giovane scrittrice di successo, vive nella Londra dell’immediato dopoguerra nel 1946, questo conflitto ha trasformato la città, gli abitanti; è alla ricerca di un soggetto per il suo prossimo romanzo, inaspettatamente riceve una lettera da uno sconosciuto Dawsey Adams, che lavora nella sua fattoria nell’isola di Guersney. Ha letto un libro appartenuto a Juliet dove, appunto è riportato il suo indirizzo, e così ha deciso scriverle. Il romanzo dapprima epistolare inizia con un’intensa corrispondenza e, attraverso, le lettere di Dawsey, lei inizia a scoprire la vita sull’isola durante la guerra e dell’esistenza di un club di lettori nato casualmente la sera in cui Amelia Maugery, riuscita a nascondere un maiale dalle razzie tedesche, decide di condividerlo con alcuni abitanti dell’isola, questi uniti dal buon cibo e da qualche bicchiere di vino, non si accorgono di aver “oltrepassato” l’ora del coprifuoco, e tornando a casa si imbattono in un controllo del nemico che chiede loro spiegazione ed è Elizabeth McKenna che, prontamente, inventa il club letterario che poi prenderà il nome di “Club letterario della torta di bucce di patata”. Per essere credibile agli occhi del nemico il gruppo di “lettori” deve continuare ad esistere e le persone che fino ad allora si erano limitate alla lettura delle Sacre Scritture, di cataloghi di sementi o il giornale del luogo, iniziano a scoprire grandi autori e altrettanto grandi classici. Alle lettere di Dawsey, giorno dopo giorno, si uniscono quelle degli altri facenti parte del club e Juliet viene “catapultata” nella vita di queste persone semplici, che scoprono e riscoprono il piacere della lettura e comprende quanto l’amore per i libri li abbia uniti ed aiutati a superare le brutalità della guerra. Queste persone attraverso le loro semplici missive, iniziano a diventare amici di Juliet e la colpiscono al punto tale di spingerla a raggiungere Guersney per conoscerle personalmente. L’incontro con queste persone e la permanenza sull’isola, saranno il fondamentale spunto per il suo libro, ma, al contempo, cambieranno il corso della sua vita.
Pur avendolo letto parecchio tempo fa, rileggendo il mio pensiero su questo libro mi sono emozionata e vi consiglio vivamente di leggerlo. All’inizio, forse, faticherete un po’ a districarvi tra i vari personaggi, nel riuscire ad identificarli attraverso le loro lettere, ma, poi sarete completamente rapiti dalle loro narrazioni, dai dolori intensi, le privazioni, le umiliazioni, ma vi “toccherà” il coraggio e, soprattutto, la solidarietà che unisce questo gruppo improvvisato. Un libro che riesce a toccare le corde più profonde dell’anima.
Come d’abitudine vi lascio alcuni stralci che mi hanno colpito.
Perché sono così malinconica? Dovrei essere felicissima all’idea di leggere Izzy di fronte a un pubblico rapito. Sai quanto mi piaccia parlare di libri, e sai quanto io adori ricevere complimenti. Dovrei essere elettrizzata. La verità è che sono triste, più triste di quanto non sia mai stata durante la guerra. È tutto così distrutto, Sophie: le strade, gli edifici, le persone. Principalmente le persone.

A proposito del vestito nuovo e delle scarpe vecchie: non è incredibile che il razionamento sia più severo dopo la guerra che non durante? Mirendo conto che centinaia di migliaia di persone in tutta Europa devono avere vitto, alloggio e vestiario, ma in fondo al cuore mi dispiace che sianoper la maggior parte tedesche.

Non ho mai parlato tanto da ragazzo – balbettavo – e non sono abituato alle cene. Per la verità, quella della signora Maugery è stata la prima cena in assoluto a cui sia mai stato invitato. Ho detto di sì perché pensavo al maiale arrosto, però il mio vero desiderio era portarmi a casa la mia parte e mangiarmela in pace.
Per fortuna il desiderio non si è avverato, perché quello è stato il primo incontro della Società Letteraria “Torta di Patate”, anche se non lo sapevamo ancora. La cena è stata una vera meraviglia, ma la compagnia era molto meglio.

Altri isolani chiesero di partecipare e le nostre serate insieme si trasformarono in riunioni allegre e spensierate. Riuscivamo quasi a dimenticare, a volte, il buio che imperava. Ci incontriamo ancora oggi, ogni quindici giorni.
È a Will Thisbee che si deve il riferimento alla Torta di Patate nel nome della nostra società. Tedeschi o no, lui non avrebbe preso parte a nessun incontro se non ci fossero state cibarie! Quindi i rinfreschi divennero parte integrante del programma. Dato che allora a Guernsey il burro era scarso, la farina poca e lo zucchero assente, Will improvvisò una torta di patate: purè come ripieno, barbabietole passate per dare il sapore dolce e bucce di patata per la crosta. Le ricette di Will di solito sono di dubbio gusto, ma questa diventò la nostra preferita.

Non credo che, dopo aver letto una scrittrice così brava come Emily Brontë, riuscirò ad accontentarmi ancora di Maltrattata a lume di candela della signorina Amanda Gillyflower. Leggere bei libri ti toglie per sempre il piacere di leggere quelli brutti.

Il libro era Brani scelti di Shakespeare. In seguito sono arrivato alla conclusione che il signor Dickens e il signor Wordsworth stavano pensando a uomini proprio come me, quando scrissero le loro parole. Credo però che più di tutti sia vero per William Shakespeare. Intendiamoci, non ne capisco sempre il senso, ma un giorno lo capirò.
Mi sembra che meno cose dica, più il risultato sia bellissimo. Sa qual è la frase che più ammiro? È: “Lo splendido giorno è finito, e noi siamo mature, ora, per la tenebra”.

All’inizio eravamo speranzosi, certi che entro sei mesi se ne sarebbero andati. E invece l’occupazione proseguiva. Si faticava a rimediare il cibo e ben presto non ci fu più legna. Il tempo trascorreva tra il grigiore delle dure giornate di lavoro e serate noiose e buie. Eravamo tutti malaticci per il poco cibo e cominciavamo a disperare che le cose potessero cambiare. Ci aggrappammo ai libri e ai nostri amici: ci ricordavano che esisteva anche qualcos’altro. Elizabeth recitava spesso una poesia. Non me la ricordo tutta, ma cominciava così: “È davvero cosa di poco conto aver goduto del sole, aver vissuto la luce in primavera, aver amato, curato, apprezzato, conosciuto veri amici?” No che non lo è. Spero che se lo ricordi ovunque sia.

Pensaci: non ho mai visto casa tua. In realtà non so neanche dove sia. A New York, ma in che via? Com’è? Di che colore sono i muri? Il divano? I tuoi libri sono messi in ordine alfabetico? (Spero di no.) I tuoi cassetti sono precisi o disordinati? Ti capita mai di canticchiare e, se sì, cosa? Preferisci i gatti o i cani? Cosa accidenti mangi per colazione? O hai una cuoca?
Vedi? Non ti conosco abbastanza bene da sposarti.

Ho letto sui giornali che adesso hanno messo su un campo profughi di guerra al suo posto. Mi fa venire i brividi pensare che siano state costruite nuove baracche lì, anche se per una giusta causa. Per quanto mi riguarda, quella terra dovrebbe rimanere deserta per sempre.
Non scriverò altro su questo, e spero mi capirà se non voglio parlarne. Come dice Seneca: “Lieve è il dolore che parla, il grande è muto”.

Ci arrampicammo fuori e corremmo verso la Lagerstrasse. Fu lì che vidi la sorpresa. Il cielo che si riusciva a scorgere da sopra le mura di cinta sembrava incendiato: era coperto di basse nuvole rosse e viola, il ventre illuminato d’oro. Cambiavano forma e colore mentre si spostavano veloci nel cielo. Restammo lì, mano nella mano, finché non si fece buio. Non credo che nessuno, fuori da un posto simile, possa capire cos’abbia significato, per me, condividere quel momento tranquillo con qualcuno.

Io mi sono rifiutata di dare spiegazioni. Ha cercato di discutere con me, di blandirmi, di baciarmi, di discutere di nuovo con me. Ma era finita, e anche lui lo sapeva. Per la prima volta da una vita – da febbraio, quando l’ho conosciuto – ero sicura di aver fatto la cosa giusta. Come ho potuto solo prendere in considerazione l’idea di sposarlo? Dopo un anno come sua moglie sarei diventata una di quelle donne miserabili e insicure che guardano il marito quando qualcuno rivolge loro una domanda. Ho sempre disprezzato quel genere di donna, e adesso capisco quanto sia facile diventarlo.

Mi sembrava che non ci fosse altro da aggiungere, anche se pensavo: Se solo Elizabeth si fosse trattenuta per poche settimane ancora, sarebbe potuta tornare a casa da Kit. Perché, perché così vicina alla fine ha attaccato la sorvegliante?
Remy ha guardato il mare che si alzava e si abbassava. Poi ha sussurrato: “Sarebbe stato meglio per lei non avere un cuore tanto grande”.
Sì, ma sarebbe stato peggio per tutti noi.
La marea è arrivata: risate, grida e niente più castello.


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