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Magali
venerdì 20 luglio 2018
Leggendo - 20 luglio
Pubblicato da
pâtes et pattes |
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Ho letto questo libro
Premetto che raramente leggo autori italiani, non so perché è un mio limite.
Non posso che consigliare la storia di Trina e Erich, una vita dura, densa di dolore, ferite mai rimarginate riguardanti gli affetti, la casa, la loro terra. La guerra fa da sfondo nel sud Tirolo una zona vicino all’Austria, in cui ci si sente stranieri in terraitorio italiano, in cui la lingua che hai parlato fin da bambino è il tedesco, dove l’esistenza è scandita da regole ferree e i patimenti, le angoscie, i pensieri non possono avere spazio e il dolore che ti schiaccia il cuore viene taciuta anche a chi ti è vicino, perché soffrire è un lusso che Trina e Erich non possono permettersi di esternare.
Non posso che consigliare la storia di Trina e Erich, una vita dura, densa di dolore, ferite mai rimarginate riguardanti gli affetti, la casa, la loro terra. La guerra fa da sfondo nel sud Tirolo una zona vicino all’Austria, in cui ci si sente stranieri in terraitorio italiano, in cui la lingua che hai parlato fin da bambino è il tedesco, dove l’esistenza è scandita da regole ferree e i patimenti, le angoscie, i pensieri non possono avere spazio e il dolore che ti schiaccia il cuore viene taciuta anche a chi ti è vicino, perché soffrire è un lusso che Trina e Erich non possono permettersi di esternare.
Un libro duro senza fronzoli, che ho amato particolarmente, perché mi ha fatto comprendere ciò che ha vissuto mio padre durante la guerra, nato in quei luoghi, e anche lui ha celato sempre dentro di sé, come i personaggi di questo libro, il proprio dolore, perché è tipico della gente di montagna essere riservati anche nei sentimenti.
Credo che descrivere la trama di questo libro sia superfluo, come ha detto giustamente Ale, lo consiglio a tutti, ma soprattutto ai giovani, perché troppo spesso li facciamo vivere nella bambagia, li proteggiamo dal dolore, ma si cresce solo soffrendo e, purtroppo, la sofferenza necessita di allenamento, per non rimanerne schiacciati.
Ecco alcuni stralci, anche se in realtà, ne avrei voluti riportare molti di più:
Io invece credevo che il sapere piú grande, specie per una donna, fossero le parole. Fatti, storie, fantasie, ciò che contava era averne fame e tenersele strette per quando la vita si complicava o si faceva spoglia. Credevo che mi potessero salvare, le parole.
Ma’ mi dava pacche sulle spalle e mi rimbrottava: – Forza ragazza, non perderti nei tuoi pensieri –. Per lei erano il nemico piú grande, i pensieri.
Un giorno che cercavo di fargli imparare una poesia pensai che se non me l’avessero fatto odiare dal profondo delle viscere era una bella lingua, l’italiano. A leggerla mi sembrava di cantare.
Volevo svuotarmi di tutto ciò che avevo. Delle mie cose, delle bestie, dei pensieri. Volevo
soltanto chiudere le fibbie e partire. Andarmene da qui.
L’impero austriaco non esisteva piú. Il nazismo non ci aveva salvato. E anche se il fascismo era finito non saremmo piú stati quelli di prima.
Avevo voglia di andare ad abbracciare Maja e nello stesso tempo di restare nascosta perché non ero piú la Trina che conosceva.
Avevo mangiato il ghiaccio per dissetarmi. Avevo sparato alla schiena.
Della vita nelle capanne, di Erich che aveva disertato, di me che avevo sparato ai tedeschi non mi chiese niente. Era diventata vecchia Ma’, aveva gli occhi scoloriti e la faccia rugosa come una foglia secca. Eppure ancora stringeva i pugni, ancora lottava per non farsi derubare i giorni dai troppi pensieri.
«Sono tenaglie i pensieri, lasciali perdere», diceva quando lavavamo i panni al fiume o certe sere che andavamo avanti a rammendare fino a tardi.
Nel giro di pochi anni il campanile che svetta sull’acqua morta è diventato un’attrazione turistica. I
villeggianti ci passano all’inizio stupiti e dopo poco distratti. Si scattano le foto con il campanile della chiesa alle spalle e fanno tutti lo stesso sorriso deficiente. Come se sotto l’acqua non ci fossero le radici dei vecchi larici, le fondamenta delle nostre case, la piazza dove ci radunavamo. Come se la storia non fosse esistita.
Ogni cosa ha ripreso una strana apparenza di normalità. Sui davanzali e sui balconi sono tornati i gerani, alle finestre abbiamo appeso tendine di cotone. Le case che oggi abitiamo somigliano a quelle di qualsiasi altro borgo alpino. Per le strade, quando finiscono le vacanze, si sente un silenzio impalpabile, che forse non nasconde piú niente. Anche le ferite che non guariscono prima o poi smettono di sanguinare. La rabbia, persino quella della violenza inflitta, è destinata come tutto a slentarsi, ad arrendersi a qualcosa di piú grande di cui non conosco il nome. Bisognerebbe saper interrogare le montagne per sapere quello che è stato.
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1 commenti:
Ho letto gli stralci che hai riportato e mi hanno toccato profondamente, credo che leggerò il resto... grazie per la recensione e buon fine settimana!
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