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venerdì 30 novembre 2018
Leggendo - 30 novembre
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pâtes et pattes |
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Oggi vi parlo di questo libro
Willa una vita spesa all’insegna del “fare il possibile” per compiacere il proprio prossimo, con alle spalle un’infanzia scandita dagli sbalzi di umore improvvisi e dalle reazioni violente della madre e dalla presenza di un padre che cerca di colmare le assenze repentine della moglie preparando amorevolmente toast fritti con formaggio alle figlie, perché era il suo unico modo di trasmettere loro sicurezza.
Una donna che si sposa rinunciando ai suoi studi e alle sue aspirazioni, trovando al suo fianco il marito Derek, un uomo facile al farsi trascinare dagli impulsi, proprio in seguito ad una reazione improvvisa i due hanno un incidente e Willa resta vedova con due figli adolescenti.
I figli sono diventati ormai adulti e lei si risposa con Peter, vive una vita ordinaria, senza scossoni, in cui praticamente non accade nulla, scandita solo da un’abituale monotonia, ma assolutamente scialba.
I fili della sua esistenza sono stati sempre mossi dalle decisioni altrui, fino a quando il telefono squilla e lei viene chiamata, per puro caso, da una vicina di casa dell’ex convivente del figlio Sean, trasferitosi tempo fa a Baltimora, questa sconosciuta l’avverte che Denise si trova in ospedale e sua figlia Cheryl non può rimanere a casa da sola.
Willa non ha alcun legame con queste persone, ma decide di partire con il marito per andare a tenere compagnia a Cheryl, anche se non è assolutamente sua nipote, mentre la madre si trova in ospedale.
Il marito di Willa l’accompagna controvoglia in questo che lui definisce un viaggio assurdo in soccorso di queste due sconosciute ed, infatti, con la scusa di impegni di lavoro non si tratterrà a lungo. Lei invece si catapultata in questa nuova realtà in cui dal non conoscere nessuno, inizierà pian piano a condividere le abitudini e i problemi dei vicini, entrerà in perfetta sintonia con la piccola Cheryl, aiutando Denise, prima in ospedale, poi a casa, anche solo sforzandosi di compiere una piccola cosa come mettersi al volante in una città a lei sconosciuta, questo l’aiuterà a sentirsi più forte e ad acquistare sicurezza, capirà di essere riuscita a trovare un equilibrio, si sentirà perfettamente integrata in una comunità non legata da vincoli di parentela, ma semplicemente dall’affetto reciproco e dalla condivisione del vivere, molto di più di quanto lo sia stata finora nella sua vita familiare.
Giunge il momento in cui il compito di Willa si esaurisce, in quanto Denise si rimette in piedi e lei decide di rientrare a casa sua, giunta all’aeroporto di destinazione … tornerà a casa dal marito o farà marcia indietro verso Baltimora?
Il finale, per me, non è ben definito e lascia una libera interpretazione al lettore.
Un libro, per me, gradevolissimo, non puoi che amare Willa e tutte le persone che la circondano a Baltimora, dotate della grande dote di esserci gli uni per gli altri, anche nei momenti difficili, di prestarsi per il prossimo, di provare una profonda solidarietà ed empatia, fino ad arrivare al punto di celare pesanti segreti. Ognuno ha la propria personalità, spesso strampalata, ma caratterizzata sempre da una fondamento di bontà ed è proprio questo “bene” che li unisce al di là di tutto e li porta a vivere come una sorta di grande famiglia allargata.
Giunta alla fine del libro, spero di cuore che Willa non abbia solo immaginato questa sua nuova vita, ma abbia avuto il coraggio di compiere l’unica scelta assolutamente giusta per se stessa, semplicemente perché se ci viene prospettata la felicità tutti hanno il dovere di coglierla.
Come d'abitudine vi lascio alcuni stralci che mi hanno colpito:
«Vuoi dei tappi per le orecchie?» gli
propose lei. «Se vuoi, li ho in borsa.»
Ma lui si limitò a sospirare, e
continuò a digitare.
Willa notò che un’altra emozione che stava
provando era la felicità.
Per tutta l’infanzia la sua morte era
stata la cosa che lei aveva temuto di più, e anche ora che era successo
faticava a farsene una ragione. (Era crollato davanti a casa sua scendendo dall’auto,
non da solo nel seminterrato, grazie al cielo.) In realtà per lei la sua morte
era stata uno choc più ancora di quella di Derek, sotto certi aspetti. Un tempo
pensava che il mondo fosse tutto sulle spalle di suo padre. Era lui quello
solido, sicuro, la persona sulla quale poteva contare quando la madre non era
in sé.
«Be’...» disse Willa. E poi: «Mio
padre, dopo che era morta mia madre, una volta mi disse che aveva iniziato a
dividere le sue giornate in momenti separati. Cioè, non stava lì a preoccuparsi
di come avrebbe passato il resto della sua vita, ma cercava di godersi la partita
di baseball che guardava alla televisione in quel momento.»
«Se funziona, va benissimo» disse la
signora Minton.
«Sì, se funziona. Non so perché, ma
per me non sembrava funzionare. Mi sa che io non sono proprio capace di godermi
l’attimo, non ce l’ho nel sangue» disse Willa. «Anche adesso, sono il tipo che
va in vacanza e passa tutto il tempo a chiedersi se si è ricordata di spegnere
il forno, e se ce la faremo a prendere la coincidenza per tornare a casa.»
Intanto Ben disse a Willa: «Non hai
risposto alla mia domanda».
«Quale?» chiese con espressione
sorpresa.
Anziché ripeterla, lui disse: «Stavo
pensando al consiglio di tuo padre. Sai, quando ti ha detto di spezzare le giornate
in momenti. Non credi che forse potrebbe essere un modo sbagliato di affrontare
il problema?»
Willa corrugò la fronte. «Voglio dire,
a volte quando mi viene da autocompatirmi, tento l’approccio opposto: allargo
la prospettiva fino a quando non sono che un granello di polvere nell’universo.»
«Be’» disse Willa, «ma questo non ti
mette in una posizione di... fragilità?»
«Certo, sono fragile» le disse Ben. «Tutti
lo siamo. Siamo tutti particelle infinitesimali che vagano in un universo senza
limiti, e se ci siamo ricordati di spegnere il forno o no, alla fine non cambia
niente.»
Il fatto che quell’idea gli desse conforto
fece sorridere Willa, e lui ricambiò il sorriso senza sembrare offeso.
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