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giovedì 28 giugno 2018
Leggendo - 28 giugno
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pâtes et pattes |
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Oggi vi parlo di questo libro
che è il diario del proprietario di una libreria di libri usati a Wigtown Nel Galloway, “la regione dimenticata che occupa l’angolo sudoccidentale della Scozia”, come viene definita dall’autore Shaun Bytell, durante ogni pagina del libro ho sempre pensato alla mia cara amica Laura 😉
Il libro è un diario quotidiano della sua vita vissuta in libreria, dei mesi di maggiore affluenza e dei periodi di magra, alla fine di ogni giornata c’è anche indicato l’ammontare dell’incasso. Le persone che si presentano in libreria, clienti abituali o saltuari, sono descritti con sagace ironia ed anche i collaboratori di Shaun sono veramente particolari. Premetto che io, pur essendo una persona che ride parecchio nella vita, non mi viene da farlo, né al cinema né leggendo, invece forse per il suo humor, che ondeggia tra l’ovvietà e l’assurdo, questo libro mi ha strappato delle risate fragorose. Sono anche descritte emozioni desuete e indicazioni letterarie, purtroppo, principalmente di autori inglesi. E’ una lettura scorrevole ideale per il periodo estivo.
Eccovi qualche stralcio:
A chi di dovere.
Referenze per Sara Pearce.
Sara ha lavorato tutti i sabati presso il Book Shop, 17 North Main Street, Wigtown, durante i tre anni in cui ha frequentato le scuole superiori. Quando dico «lavorato» uso il verbo nel senso piú vago possibile. Trascorreva intere giornate all’esterno del negozio, fumando e ringhiando ai passanti che accennavano a entrare, oppure guardava le repliche di Hollyoaks sul sito di Channel 4. Benché abitualmente puntuale, si presentava spesso al lavoro ubriaca o con forti emicranie da dopo sbronza. Era scortese e aggressiva. Non eseguiva quasi mai i compiti che le erano affidati, e nei tre anni trascorsi presso di noi non si è mai impegnata in alcunché di costruttivo senza un’esplicita richiesta. Era solita lasciarsi dietro una scia di pattume: bottiglie di bibite, sacchetti di patatine, incarti di cioccolato e pacchetti di sigarette. È stata piú volte sorpresa a rubare accendini e fiammiferi dal negozio, e nei miei confronti ha sempre tenuto un atteggiamento irrispettoso, spesso violento.
È stata una collaboratrice preziosa, e la raccomando senza riserve.
Oggigiorno è talmente raro trovare il tempo per leggere che, quando capita, mi sembra il piú puro dei piaceri; piú puro di qualsiasi altra esperienza sensoriale. Quando avevo una trentina d’anni dovetti mettere la parola fine a una relazione molto importante per me: ricordo che in quel momento l’unica cosa che riuscivo a fare era leggere, cosí cominciai ad accumulare una montagna di libri nei quali mi immergevo per sottrarmi al mondo che avevo intorno e dentro di me. I paesaggi di Jonathan Meades, William Boyd, José Saramago, John Buchan, Alastair Reid, John Kennedy Toole e altri mi proteggevano dai miei stessi pensieri e li sospingevano ai margini della mia coscienza, dove continuavano a sfilare in silenzioso corteo senza arrecarmi disturbo. Innalzai una barriera fisica sulla mia scrivania, una barriera fatta di libri, e man mano che leggevo il muro veniva lentamente giú, fino a sparire del tutto.
Hanno speso centosettantacinque sterline e si sono portate via sei borse piene di libri. Cose del
genere capitano assai di rado, ma mi aiutano a ricordare quanto le persone possano affezionarsi alle librerie e perché io abbia scelto di entrare in questo mondo.
Verso sera io e Callum siamo andati a farci una birretta, poi sono passato alla cooperativa per comprare del latte. Mike era al lavoro, con un’aria decisamente mogia. Gli ho chiesto notizie del gatto randagio che aveva fatto sterilizzare, e mi ha detto di essere stato preso a male parole da una signora che, proprio ieri, l’ha accusato di averle rapito il gatto. A quanto pare il micio era scappato di casa settimane fa, ma lei non aveva mai smesso di cercarlo. Non è stata felicissima di sapere che gli avevano tagliato le palle.
Il cliente che stamattina ha acquistato il Diario di Samuel Pepys ha letto la massima di Einstein dipinta sull’esterno del bancone («Solo due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, ma sul primo ho ancora dei dubbi») e mi ha chiesto: «È autentica?» A quanto pare è piuttosto dubbia, e sono in molti a credere che Einstein non abbia mai pronunciato quella frase.
Stavo uscendo dalla cucina con la mia tazza di tè quando un tizio in giacca da lavoro e pantaloni di poliestere una spanna piú corti del normale mi è rovinato addosso e me l’ha quasi fatta cadere.
– È mai morto nessuno qui? – mi ha chiesto poi. – Nessuno ci ha ancora lasciato le penne cadendo da una scaletta?
– Non ancora, – gli ho risposto, – ma speravo proprio che oggi fosse il gran giorno
Eccovi qualche stralcio:
A chi di dovere.
Referenze per Sara Pearce.
Sara ha lavorato tutti i sabati presso il Book Shop, 17 North Main Street, Wigtown, durante i tre anni in cui ha frequentato le scuole superiori. Quando dico «lavorato» uso il verbo nel senso piú vago possibile. Trascorreva intere giornate all’esterno del negozio, fumando e ringhiando ai passanti che accennavano a entrare, oppure guardava le repliche di Hollyoaks sul sito di Channel 4. Benché abitualmente puntuale, si presentava spesso al lavoro ubriaca o con forti emicranie da dopo sbronza. Era scortese e aggressiva. Non eseguiva quasi mai i compiti che le erano affidati, e nei tre anni trascorsi presso di noi non si è mai impegnata in alcunché di costruttivo senza un’esplicita richiesta. Era solita lasciarsi dietro una scia di pattume: bottiglie di bibite, sacchetti di patatine, incarti di cioccolato e pacchetti di sigarette. È stata piú volte sorpresa a rubare accendini e fiammiferi dal negozio, e nei miei confronti ha sempre tenuto un atteggiamento irrispettoso, spesso violento.
È stata una collaboratrice preziosa, e la raccomando senza riserve.
Oggigiorno è talmente raro trovare il tempo per leggere che, quando capita, mi sembra il piú puro dei piaceri; piú puro di qualsiasi altra esperienza sensoriale. Quando avevo una trentina d’anni dovetti mettere la parola fine a una relazione molto importante per me: ricordo che in quel momento l’unica cosa che riuscivo a fare era leggere, cosí cominciai ad accumulare una montagna di libri nei quali mi immergevo per sottrarmi al mondo che avevo intorno e dentro di me. I paesaggi di Jonathan Meades, William Boyd, José Saramago, John Buchan, Alastair Reid, John Kennedy Toole e altri mi proteggevano dai miei stessi pensieri e li sospingevano ai margini della mia coscienza, dove continuavano a sfilare in silenzioso corteo senza arrecarmi disturbo. Innalzai una barriera fisica sulla mia scrivania, una barriera fatta di libri, e man mano che leggevo il muro veniva lentamente giú, fino a sparire del tutto.
Hanno speso centosettantacinque sterline e si sono portate via sei borse piene di libri. Cose del
genere capitano assai di rado, ma mi aiutano a ricordare quanto le persone possano affezionarsi alle librerie e perché io abbia scelto di entrare in questo mondo.
Verso sera io e Callum siamo andati a farci una birretta, poi sono passato alla cooperativa per comprare del latte. Mike era al lavoro, con un’aria decisamente mogia. Gli ho chiesto notizie del gatto randagio che aveva fatto sterilizzare, e mi ha detto di essere stato preso a male parole da una signora che, proprio ieri, l’ha accusato di averle rapito il gatto. A quanto pare il micio era scappato di casa settimane fa, ma lei non aveva mai smesso di cercarlo. Non è stata felicissima di sapere che gli avevano tagliato le palle.
Il cliente che stamattina ha acquistato il Diario di Samuel Pepys ha letto la massima di Einstein dipinta sull’esterno del bancone («Solo due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, ma sul primo ho ancora dei dubbi») e mi ha chiesto: «È autentica?» A quanto pare è piuttosto dubbia, e sono in molti a credere che Einstein non abbia mai pronunciato quella frase.
Stavo uscendo dalla cucina con la mia tazza di tè quando un tizio in giacca da lavoro e pantaloni di poliestere una spanna piú corti del normale mi è rovinato addosso e me l’ha quasi fatta cadere.
– È mai morto nessuno qui? – mi ha chiesto poi. – Nessuno ci ha ancora lasciato le penne cadendo da una scaletta?
– Non ancora, – gli ho risposto, – ma speravo proprio che oggi fosse il gran giorno
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