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Lettori fissi

Magali

Magali
martedì 18 settembre 2018
Domani ci sarà un super post o meglio un royal post😉😻
E oggi vi parlo di questo libro che ho appena terminato
Alla fine della lettura, non posso dire sia la trama ad avermi convinto, una storia problematica, dal punto di vista psicologico, risoltazi forse troppo rapidamente rispetto  a quanto si possa verificare nella vita reale, ma la lettura semplice, i capitoli brevi ti travolgono e non puoi che amare Eleanor Oliphant, una donna che vive sola, non ha contatti se non quelli "obbligatori" con i propri colleghi di lavoro, che ha vissuto un'infanzia e un'adolescente terribili, che il fine settimana lo trascorre bevendo gin e la sera mangia cibi precotti, non ha amici, finchè ... semplici accadimenti portano cambiamenti, le fanno aprire gli occhi sul mondo, sulle cose semplice che le sono sempre mancate come una cena improvvisata dalla mamma del suo collega Raymond: una semplice zuppa accompagnata da tanto affetto. Come l'aver soccorso un anziano per strada insieme le apre "la porta" su un'altra famiglia che la accoglie con affetto. L'arrivo anche di un micio scampato ad una disgrazia, la fa sentire forte e capace di assumersi la responsabilità di "badare" a qualcun altro. 
Le sedute dalla psicologa la aiutano a non sentirsi in colpa, ad accettare l'accaduto e ad allontanare per sempre la presenza della madre, che la tormentava anche da morta.
Alla fine Eleanor Oliphant ha fatto breccia nel mio cuore: la sua schiettezza travolge, l'espressione costante di ciò che pensa senza peli sulla lingua ti fa desiderare di assomigliarle, riesce a riscattare la sua esistenza che assumerà un nuovo corso e non sarà più in bianco e nero, ma rivestirà tutti i colori dell'arcobaleno.
Da quanto ho scritto potete capire che questo libro lo consiglio vivamente, perchè fa veramente bene all'anima.
Come d'abitudine vi riporti alcuni stralci e ... a domani per il royal post 😉😻.
Quella sera, a casa, mi guardai allo specchio sopra il lavabo mentre mi lavavo le mani rovinate. Eccomi qui: Eleanor Oliphant. Capelli lunghi, lisci, castano chiaro, che mi scendono giù fino alla vita, pelle chiara, il volto un palinsesto di fuoco. Un naso troppo piccolo e occhi troppo grandi. Orecchie: niente di eccezionale. Altezza più o meno nella media, peso approssimativamente nella media. Aspiro alla medietà... Sono stata al centro di fin troppa attenzione in vita mia. Ignoratemi, passate oltre, non c’è nulla da vedere qui.

Persino la parte della mia faccia da fenomeno da baraccone – la metà danneggiata – era meglio dell’alternativa, cioè morire in mezzo al fuoco. Non mi sono ridotta in cenere, ma sono emersa dalle fiamme come una piccola fenice. Sfiorai la cicatrice con il dito, accarezzandone i contorni. “Non sono bruciata, mamma”, pensai. “Ho attraversato il fuoco e sono sopravvissuta.”
Sul mio cuore ci sono cicatrici altrettanto spesse e deturpanti di quelle che ho in viso. So che ci sono. Spero che resti un po’ di tessuto integro, una chiazza attraverso la quale l’amore possa penetrare e defluire. Lo spero.

Decisi che invece mi sarei comprata un mazzo di fresie. Ho sempre amato il loro profumo soave e la delicatezza dei loro colori. Hanno una specie di luminosità tenue, molto più bella di uno sgargiante girasole o di una banale rosa rossa.

Prendeva spesso in giro la madre in maniera affettuosa e lei reagiva con finto fastidio, dandogli delle pacche delicate sul braccio o rimproverandolo per la sua maleducazione. Io mi sentivo al caldo, completa e a mio agio come non ricordavo di essermi mai sentita.

Dovevo far succedere qualcosa, qualsiasi cosa. Non potevo continuare a passare accanto alla vita, sopra, sotto, attorno. Non potevo continuare a vagare per il mondo come uno spettro.

Trascorsero alcune settimane e le sedute con Maria Temple erano diventate una parte naturale della mia routine. Era bello stare all’aperto, nonostante il vento, e così quel giorno decisi di andare a piedi invece di prendere l’autobus, godendomi quello che rimaneva del sole. C’erano un sacco di altre persone che avevano avuto la stessa idea. Far parte di una massa era una bella sensazione, e provavo un piacere sottile nel mescolarmi a loro.
Buttai venti pence nel bicchiere di carta di un uomo seduto sul marciapiede con un cane molto simpatico. Comprai un donut al caramello da Greggs e lo mangiai camminando. Sorrisi a un bambino incredibilmente brutto che agitava il pugno verso di me da un passeggino sgargiante. Era bello notare i dettagli. Piccole schegge di vita: si sommavano e mi aiutavano a sentire che anch’io potevo essere un frammento, un pezzetto di umanità che riempiva utilmente uno spazio, per quanto minuscolo.

«Non è una gran cosa», disse. Io sbirciai dentro: c’era una scatola di cartone bianco, di una pasticceria, legata con un nastro. C’era anche una scatoletta minuscola di cibo per gatti «gourmet». «Che bello!» esclamai deliziata.
«Non sapevo che cosa ti piacesse e non volevo venire a mani vuote...» continuò Raymond arrossendo. «Ho pensato... be’, sembri la persona a cui piacciono le cose graziose.» Alzò lo sguardo verso di me. «Meriti di avere delle cose graziose», ribadì con fermezza.
Era strano. Devo confessare che per qualche istante mi mancarono le parole. Meritavo delle cose graziose?

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